“Mare di ruggine”: mostro ed eroi nella favola di Antimo Casertano

RECENSIONE – La chiusura del sipario è sicuramente il momento in cui lo spettatore tira una linea su quanto gli è stato consegnato dallo spettacolo, per poi elaborare il proprio giudizio. Quello di “Mare di Ruggine”, durante la sua prima messa in scena al Bellini (26 settembre-6 ottobre), è stato a dir poco travolgente e lo si leggeva negli sguardi di tutto il pubblico. Gli spettatori risultavano visibilmente commossi mentre, in ovazione, si univano in energici applausi per la Compagnia Teatro Insania (produzione Ente Teatro Cronaca).

Il progetto di Antimo Casertano ha fatto breccia in tutti i suoi elementi, spalancando una finestra sul passato che, una volta allontanati dalla poltrona, non è più possibile ignorare. La consapevolezza giunge piano nella ridiscesa degli scalini del Piccolo Bellini, la ruggine sembra essere sparsa ovunque, tutt’intorno, ha una consistenza effimera e al contempo pesantissima, può solo ricoprirti o disintegrarti dal di dentro. Basta socchiudere gli occhi per ritrovarsi di nuovo davanti al rosso intenso dell’altoforno di Bagnoli che respira e chiede di essere alimentato incessantemente. Sulla soglia del teatro, all’uscita, quella sensazione, che già in sala si era piantata nel cuore, adesso vuole direzionarsi verso il futuro, chiedendo di trovare una risposta, chiedendo di coinvolgere quante più persone per trovarla. Quando riesce questa magia, lo spettacolo, secondo parere di molti, si può definire imperdibile.

Commuoversi non significa piangere, ma muoversi assieme alle cose.

“Mare di ruggine” ha un cuore tangibile, l’autore e regista Antino Casertano ci sta raccontando la sua storia, la storia della sua famiglia a partire dal suo bisnonno. Si rivolge a suo figlio, ma sicuramente si rivolge anche al futuro di tutti noi. È degno di merito il fatto di avere scorto tante lacrime degli spettatori in platea, in momenti diversi, durante alcune scene delicatissime ed in altre disarmanti. È un dato non così comune quanto si possa pensare e, sicuramente, a dimostrazione di quanto è stata diffusa e partecipata la compenetrazione collettiva. In scena non è solo la storia della famiglia di Antimo Casertano, ma quella di tantissimi che meritano di essere ricordati. Dandogli di nuovo parola e respiro, a quella quotidianità che la maggior parte ha dimenticato in archivi remoti, eppure quel mare di ruggine giace ancora lì, nel suo stato di abbandono. Ad introdurre la narrazione, le parole dello stesso Antimo: «Questa è una favola che favola non è. Di un mostro che non sapeva di essere un mostro e di operai che non sapevano di essere eroi. Di un ragazzino che, affacciato alla sua finestra, vedeva un mostro di ruggine e il mare di Bagnoli».

Il Mostro e gli Eroi della favola

Il mostro di questa storia è lo stabilimento Ex-Ilva, poi Italsider di Bagnoli. Una fabbrica che ha significato molto per tantissime famiglie e la cui storia è comune per tantissime città, oltre Napoli, anche Piombino, Genova e Taranto. Materializzazione di un progresso senza scrupoli che non ha mai tenuto conto della gente comune, degli eroi di questa storia. Uomini che in quel mostro hanno trovato l’unica possibilità per potere sorreggere le proprie famiglie. Che nell’inconsapevolezza e nella necessità hanno vissuto la loro quotidianità in fabbrica, cercando a loro modo di preservarsi. Stringendosi in un corpo comune per guardarsi le spalle a vicenda e, poi dopo, per reclamare quella tutela che era necessario dovere conquistare. La minima salvaguardia per chi, avvolto da un vento caldissimo, ha gettato sudore e sangue in ottemperanza al proprio impegno. «Non si può stare senza lavorare ma non si può neanche morire per lavorare».

Più di cento anni di amore e sacrificio

I sette attori in scena riescono a consegnarci dei quadri davvero sorprendenti, in una sinergia avvincente e davvero affiatata. Insieme ad Antimo Casertano, voce narrante, in scena (in ordine di apparizione): Luigi Credendino, nelle vesti del bisnonno Nunzio. Uomo figlio dei suoi tempi, coraggioso a lavoro e delicatissimo nel corteggiamento di Claudia, sarta che ha trasformato il suo amore per il cucito in una filosofia di vita. Quest’ultima interpretata dall’attrice Francesca De Nicolais. Dal loro amore nascerà Teresa interpretata da Daniela Ioia (anche moglie nella vita di Antimo), donna rispettosa dal cuore rivoluzionario, che sposerà l’omonimo Antimo Casertano (nonno del nostro regista), dal cuore grande e scomparso troppo presto, interpretato da Ciro Esposito. Si giungerà alla loro figlia (madre del nostro Antimo) Lena interpretata da Lucienne Perreca, innamorata di Rosario (papà di Antimo) interpretato da Gianluca Vesce. Più di cento anni di storie d’amore e sacrificio, che si evolvono sul palco mentre si evolveva la storia, l’economia e la società di questo Paese.

Minuziosa la ricostruzione tecnico scientifica ad opera di Antimo per descrivere la grande acciaieria, nella sua struttura, nei suoi processi di lavorazione, come anche della sua storia negli anni. Individuando nella conoscenza la chiave per comprendere e riuscire a vedere realmente le dinamiche del mostro. Sensazionale la scenografia di Flaviano Barbarisi, eloquente nella sua struttura e movimento, nell’altoforno famelico, nella polvere di ruggine in ogni dove, nelle scintille e nell’acciaio vibrante. Importanti, in questo bel progetto, anche i costumi di Pina Sorrentino con la ruggine in evidenza sui contorni di ogni vestito. Sorprendente nei fuoriprogramma in cui si sono viste maschere e lustrini per la politica, come anche spazzacamini ed astronauti per i lavoratori. Elemento importante di questo bel puzzle, i suoni e le musiche di Paky Di Maio, determinanti nell’incisività e nella costruzione di ambiente e dimensione.

Sono trascorsi trent’anni dalla chiusura della fabbrica e la politica presenta un grande piano di valorizzazione per tutta la zona. Antimo, che di anni ne ha trentotto, ci ricorda con questo spettacolo che non si può guardare al futuro senza tener conto del passato. Che i metalli, l’amianto e l’eternit lì restano sepolti e che la ruggine giace in attesa di sapere il finale di questa favola, «che favola non è». La prima risposta risiederebbe in un’unica parola: EcoGiustizia. La seconda risposta, nella memoria di questi eroi e delle proprie famiglie, che ancora tante risposte non le hanno avute. Molte domande non potevano porsele e quel che è restato sono solo le conseguenze.

Per tutte le prossime repliche lo spettacolo è sold-out nella programmazione al Bellini, ma è assolutamente da seguire, nei successivi appuntamenti, questo spettacolo che ribadiamo imperdibile.