Fedra: il mito antico di Euripide al Teatro Grande di Pompei

RECENSIONE – Come può dialogare un testo scritto 2500 anni fa con il pubblico del 2024? Innanzitutto tramite l’immersione in una location che serba, in modo intrinseco, un viaggio nel tempo. La rassegna “Pompeii Theatrum Mundi” è infatti organizzata da Teatro di Napoli e da Parco Archeologico di Pompei presso Il Teatro Grande, antico anfiteatro che accomoda gli spettatori, dopo un percorso nel quadriportico e le colonne doriche, sotto un cielo trapuntato di stelle. In secondo luogo attraverso un dinamismo della scena, che riesce a tenere captata l’attenzione fino al termine dello spettacolo. “Fedra” è andata in scena dall’11 al 13 luglio, la trama di Euripide è conosciuta ma la regia di Paul Curran ha saputo renderla, in una veste nuova, accattivante.

La trama la conosciamo, protagonista indiscussa, che accede in teatro con folgorante costume bianco ed oro, è la dea Afrodite, divinità dell’amore. Ella, sfilando tra il pubblico dall’alto dei gradini con entrata monumentale, dispiega le motivazioni che l’hanno focalizzata sulle sorti dei protagonisti coinvolti nella trama. Con irritazione narra della circostanza per cui l’erede al trono di Teseo, “Ippolito Portatore di Corona”, abbia deciso di non adorarla e, si sa, quanto invece sia necessario «adorare tutti gli dei». Il ragazzo, pieno di virtù e passioni, aveva deciso, con un manifesto e solenne voto di castità, di rinnegare l’amore, coinvolgendo i suoi amici “seguaci” nell’adorazione di Artemide, dea della caccia. Sin dall’inizio la bellissima Afrodite è pronta a disvelare le sue trame maligne che porteranno Eros, il suo agente terribile, ad instillare in Fedra (moglie di Teseo, figlia di Minosse), un amore delirante proprio per Ippolito (suo figliastro). Questo stratagemma avrà il fine di portare Teseo, al quale erano state concesse tre maledizioni da Poseidone, a condannare, in segno di offesa, proprio suo figlio, liberando Afrodite da tale preoccupazione. Si viene catapultati quindi in un’epoca in cui le divinità avevano il potere di influire fortemente sulle sorti degli uomini ed in cui, eventi difficili da spiegare o semplici coincidenze, venivano tradotte in articolate tessiture del destino ad opera dei grandi immortali annoiati.

Il mito di Fedra è stato rivisitato da antichi e moderni, arricchendo la figura della principessa cretese di sempre nuove sfumature, rendendola una delle figure chiavi del teatro europeo. Soprattutto in tempi vicini in cui si sono potuti aggiungere elementi di psicanalisi e antropologia. Nella regia di Curran molto spazio è stato dato alle confidenze del coro di donne di Trezene, nell’esplorazione dell’universo femminile e nell’empatia che le spingeva ad indagare sul silenzio preoccupante in cui Fedra si stava consumando. «Che cos’è quella cosa che chiamiamo amore?», questa la domanda che pone Fedra, in preda al suo delirio di cuore contaminato. «La cosa più dolce, bambina, e la più dolorosa insieme» le risponde la sua balia.

Sovrasta in tutte le vicissitudini la statua, centrale nella scena, del volto di Artemide, che assiste, si infuoca, si frantuma, ma non interviene («Nessun dio si oppone al volere di un altro») se non alla fine, per risolvere il malinteso e far trionfare l’amore almeno nella forma del perdono tra padre e figlio.

Nel dialogo tra antico e contemporaneo è stato rilevante il momento in cui il pubblico ha mostrato dissenso rispetto alla parte in cui Ippolito dichiarava il suo disinteresse e odio nei confronti di «esseri inutili quali le donne», non difficile da sentire ai tempi di Euripide. Attraverso un brusio di dissenso tra il pubblico, il 2024 ha voluto rispondere al 428 a.C., maggiormente sensibile all’esclamazione «Non sarò mai sazio dell’odio per le donne». Notevoli anche le licenze registiche che hanno portato ad inserire sulla scena: una pistola, dei paramedici e delle barelle, dettagli d’effetto ed inaspettati per il pubblico.

Di grande impatto i costumi (e le scene) di Gary McCann, che in tutti i personaggi sono eloquenti rispetto alle loro peculiarità caratteriali: imponenti quelli delle divinità; floreali e un po’ hippie quelli degli amici di Ippolito che si cimentano nelle danze d’apertura durante gli inni; leggeri ed avvolgenti quelli del coro; disordinato quello della folle Fedra; composto e marziale quello di Teseo; e candido quello di Ippolito. Abbondante il numero di componenti del cast: 12 elementi del coro, 5 elementi del coro di donne di Trezene, 4 elementi per le Corifee, 8 attori per i personaggi della trama, tra i quali si sono particolarmente distinti, per recitazione ed intensità, quelli di Afrodite (Ilaria Genatiempo), Artemide (Giovanna Di Rauso), la Balia (Gaia Aprea), Teseo (Alessandro Albertin), Fedra (Alessandra Salamida) ed Ippolito (Riccardo Livermore). Con questo quarto spettacolo si chiude la rassegna estiva “Pompeii Theatrum Mundi” che per questa edizione 2024 ha registrato presenze sempre altissime, tanti plausi e calore del pubblico.