RECENSIONE – Una storia delicata e carica di spunti di riflessione che si muove leggera come le note su cui è poggiata, tipiche transalpine anni ’30, come fossero quelle di Yann Tiersen ne “Il favoloso mondo di Amélie”. Lo spettacolo “Bi Storie di Obaba” ha debuttato al Nuovo Teatro Sanità, ed è il primo adattamento teatrale italiano ispirato al testo del drammaturgo basco Bernardo Atxaga, pseudonimo di José Irazu Garmendia, che ha raggiunto il successo con i racconti Obabakoak tradotti in più di venti lingue.
Complesso è stato il lavoro di riscrittura e adattamento teatrale, frutto della collaborazione tra Mario Gelardi ed Emanuele Valenti, che sono riusciti a trapiantare l’onirico villaggio di Atxaga nello stesso quartiere Sanità, in una sua versione più rurale e remota. Protagonista di questa storia è l’ingenuità dell’infanzia, che tra scampanellii di biciclette ed odore di pasticcini, è costretta ad adeguarsi all’ambigua ed insinuante cattiveria del mondo adulto legata alla materialità delle cose. Al centro della storia due fratelli, Daniele e Paolo, diversi tra loro nella fisicità e modo d’essere, coraggiosi nel loro prendersi cura l’uno dell’altro e della segheria, lasciata dal padre. Quotidianamente costretti a scontrarsi contro i pregiudizi del villaggio, sul ritardo di Daniele, e le insidie dei familiari che complottano per sottrargli casa e lavoro. Parallela alla narrazione dei personaggi scorre quella, non meno importante, del mondo della natura, che offre continui punti di vista sulle vicende umane. Ad introdurci da lontano verso la storia è proprio un uccello, a portarci nella mente di Daniele alcuni scogliattoli, a renderci evidenti le trame della cugina un serpente, a lasciare un messaggio di speranza una fulgida stella.
Grande prova attoriale quella dei ragazzi della compagnia del Nuovo Teatro Sanità: un bravissimo Carlo Geltrude nei panni di Daniele, un carismatico Salvatore Nicolella nelle vesti di Paolo, una sibilante Arianna Cozzi sempre in scena con la dolce Alessandra Mantice, cui si aggiunge lo stesso Emanuele Valenti nelle vesti del parroco del villaggio. A rendere ancora più magnetica la storia, una scena versatile seppur vuota a primo acchito, composta di sole cinque panche di legno che, come in un gioco di bambini con incastri ed ingegni, riescono a trasformarsi in biciclette, letti, casa, segheria o piazza di paese. Disarmante è la constatazione nel finale di quanto possa essere rovinoso il disinteresse dell’uomo nei confronti dell’uomo, quando al contrario la natura intera è lì ad assistervi.
Lo spettacolo è stato in scena dal 23 al 26 gennaio, prodotto dal Nuovo Teatro Sanità con il sostegno della Fondazione Alta Mane Italia ed in collaborazione con l’Istituto Cervantes di Napoli. Si spera venga riproposto presto.