Basterebbe la motivazione di uno dei tanti premi avuti nel corso della sua prolifica carriera, e cioè il Premio speciale delle due Sicilie per la cultura, nel 2018, per delineare in modo completo la grandezza di un attore come Mariano Rigillo. “Nel solco di una tradizione immensa, di cui lui è il vero e ineguagliabile erede”. Così recita la motivazione, definendo in modo esplicito il valore dell’attore che tra televisione, teatro, cinema e radio, ha segnato un percorso di tradizione che resterà come un tesoretto da conservare, negli annali di storia del teatro.Diplomato alla Accademia d’Arte Drammatica di Roma, con maestri come Orazio Costa e Sergio Tofano, Rigillo si impone, ben presto, con personaggi che connotano la nostra fonte culturale principale: il teatro puro e gli autori che lo hanno ben raccontato. Se solo si pensa al mitico Masaniello di Elvio Porta con la regia di Armando Pugliese, già ci accorgiamo che l’attore napoletano, ha tracciato un successo di pubblico e di critica, che ha del clamoroso. è con quello spettacolo, che viene ricordato più volte come mito rappresentativo di un periodo, gli anni ’70, denso di impegno e di fermenti culturali, che Rigillo traccia un solco importante per il teatro napoletano. Da poche settimane ha finito di portare in scena un magnifico lavoro, “La brocca rotta” di Heinrich Von Kleist, insieme alla sua compagna di scena e nella vita, Anna Teresa Rossini. «Uno spettacolo davvero particolare – esordisce Rigillo – quello che abbiamo portato al Mercadante qualche settimana fa». Von Kleist è uno scrittore tedesco autore di grandi drammi anche famosi, come “Pentesilea” o “Il Principe di Homburg”. Questa “Brocca rotta” è l’unica commedia che ha scritto, è del fine ‘700, primi dell‘800. è interessante sapere che la commedia fu scritta a causa di una scommessa fatta con due letterati della sua epoca. Nacque dal fatto che insieme videro ad Amsterdam una incisione dove c’era scritto “il giudizio della brocca rotta”. Tutti e tre si misero d’accordo su chi fosse riuscito a comporre una opera letteraria sull’argomento. La commedia di Von Kleist fu quella che ebbe maggior successo. La storia ha anche una sua metafora, perchè è la storia di un giudice corrotto, che si introduce nella camera di una ragazza e si immagina,quindi, che la ragazza avesse perduto la verginità a causa di una specie di violento Ius primae noctis, e nel tentare di farlo, il magistrato rompe una brocca. La madre della ragazza si presenterà in tribunale, per sapere chi è stato a rompere la brocca. Da qui nascono situazioni anche divertenti, ma soprattutto una certa critica all’amministrazione della giustizia. Non solo si saprà che l’autore dell’incidente è stato il giudice, ma si conoscerà anche il lato demoniaco del magistrato che assumerà tale sembianza. E qui che l’autore vuole sentenziare come, una parte di noi, può assumere aspetti demoniaci. Con me in scena c’è Andrea Renzi, Silvia Siravo, Anna Teresa Rossini, Antonello Cossia, Carlo Di Maio,Fortuna Liguori, Annabella Marotta,Umberto Salvato, Francesco Scolaro, Valeria Contadino, per la regia di Giuseppe Di Pasquale. Tra questi, ci sono alcuni bravi allievi della mia accademia del Mercadante”.
A proposito della scuola, in che situazione è? è una gestione facile?
«La mia scuola, si sviluppa di triennio in triennio. Ora è terminato il primo triennio ed è iniziato il secondo. Ci sarà un saggio finale per ogni triennio. Devo dire che ho trovato, per ogni corso, giovani di grandi capacità e passione. Sono in gamba e nel loro saggio su Shakespeare hanno dato prova di grandi possibilità. Anche questo dell’anno in corso, è di buona qualità. Il teatro in questo momento, è in una crisi fortissima, ma speriamo che nonostante la crisi, questi giovani si possano imporre con le loro capacità».
Il sintomo che grandi attori come lei, non trovino produzioni adeguate è grave?
«è un sintomo di crisi evidente. In quanto c’è stato, da un punto di vista ministeriale, il desiderio di sopprimere il teatro privato, quello di qualità, quello cosiddetto di impegno. Faceva troppo concorrenza al teatro pubblico e spendeva troppo meno soldi del teatro pubblico. E allora è stato voluto cancellare. Il teatro privato importante fa fatica, l’unica compagnia che resiste è quella di Glauco Mauri, il quale anche lui non trova più piazze, non trova più spazi, perchè potenziando i teatri pubblici, facendoli diventare nazionali come quello di Napoli o Milano, oppure bollandoli come TRIC, teatri di rilevante interesse culturale, e quindi fortificando le sovvenzioni date a questi teatri, hanno reso questi teatri pubblici ricchissimi, sprecando soldi, a danno dei privati. Un esempio è proprio il mio spettacolo “La Brocca rotta”, che ha avuto appena due settimane di programmazione e poi via, si chiude senza poterlo replicare, avendo buttato via soldi spesi per una bella cosa, ma che non ha futuro. Anche l’anno scorso facemmo al San Ferdinando “Uscita di emergenza” io e Claudio Di Palma, ottenendo un gran successo, ma la cosa morì lì e non si è mai ripreso. Per carità, non vuole essere una critica allo Stabile di Napoli, anche perchè questa accusa, per così dire, vale anche per altri, come quello di Milano. Se il nostro teatro non avesse la scuola che dirigo,sarebbe quasi inutile la sua esistenza. L’unica cosa utile in questo momento è la formazione di nuove leve, e devo dire che quello di Napoli oggettivamente lo fa, oltre che a programmare una nuova drammaturgia. Infatti recentemente il Ridotto, ha dedicato la programmazione alla drammaturgia alternativa. Non tutti i teatri nazionali fanno questo».
Ma prima era obbligatorio, per quelli Nazionali, avere una scuola?
«Infatti il teatro di Roma, non ha più una scuola, perchè ora è stata resa facoltativa. Non c’è più l’obbligo. Quando nacquero i decreti per i teatri Nazionali, una delle prerogative, era quella di avere la scuola, era quasi un obbligo. Quello di Roma non è riuscito ad avere la scuola e quindi l’obbligo è stato tolto. Per cui un domani possono chiudere tutte le scuole, ma i teatri rimarranno Nazionali. Per fortuna quello di Napoli non l’ha fatto, e la scuola credo che durerà ancora per diversi anni».
Sono passati molti anni dal suo personaggio per ragazzi “Saturnino Farandola” e da sceneggiati come “Dov’è Anna” Era un’altra Tv?
«Era una Tv che ha formato tutti quegli italiani che negli anni ’70, hanno dato vita a tante belle cose e a tante iniziative culturali e sociali. Negli anni ’70, si pensava e si sperava che l’Italia fosse un paese che potesse cambiare faccia, di essere all’avanguardia in qualsiasi settore, specie in quello scolastico. C’era più attenzione alla gioventù.Lentamente, nel tempo, tutto questo è stato volutamente sconfitto, progressivamente cancellato dai poteri che sono venuti dopo. Fino ad arrivare ad oggi, in cui siamo ridotti ad una inciviltà culturale, che fa paura. Ogni paese ha quello che si merita. Il teatro fatica ad andare avanti. La televisione non è più quella di una volta, perchè quella di una volta produceva grandi romanzi sceneggiati, facendo conoscere alla gente chi era Dostoevskij, chi era Tolstoj, la gente sapeva chi era Manzoni, Pirandello o Marco Praga, oppure Riccardo Bacchelli o Emilio De Marchi, oppure scrittori stranieri come Dickens. Insomma si sono fatte molte cose belle. Adesso si fanno le fiction, magari alcune molto ben fatte, ne ho fatte anche io alcune, come l’ultima in ordine di tempo, su Raiuno, “Mentre ero via”. Però diciamo che la crescita culturale della gente si fa anche attraverso altri tipi di politica teatrale».
C’è uno spettacolo che ancora non è riuscito a mettere in scena?
«C’è un testo che mi è sfuggito sempre di fare, ed è l’Amleto. Non ho mai avuto il coraggio di affrontarlo anche se lo conosco a menadito, battuta per battuta. Non l’ho mai fatto per pudore, perchè io sono sempre stato un attore che ha avuto sempre del pudore, nel proporsi. Per fortuna che ci sono stati gli altri che mi hanno spinto a proporre, a scritturarmi. Sono stato sempre guardingo, infatti se non fosse stato per Elvio Porta e Armando Pugliese, non avrei mai fatto “Masaniello”, oppure se non avessi trovato Patroni Griffi, non avrei mai fatto “Persone naturali e strafottenti”. C’è voluto del coraggio per fare questi testi. Lo stesso Patroni Griffi, ha avuto del coraggio a farmi fare il ruolo del padre in “Sei personaggi in cerca di autore” con il successo che ha avuto quel lavoro, con un co-protagonista di eccezione come Vittorio Caprioli. Per fortuna in seguito, ho fatto una parte del “Don Chisciotte” che mettemmo noi in scena grazie alla riduzione di Gerardo Guerrieri, grande saggista e critico, ricavando dall’opera di Cervantes, un copione che ho messo in scena al maggio dei monumenti nel 2008. Era uno spettacolo che avrebbe meritato un accompagnamento maggiore, una tournè notevole, ma anche quello è rimasto lettera morta».
Ai suoi tempi c’erano più occasioni per fare teatro, rispetto ad oggi?
«Non c’è alcun dubbio. Io non ho faticato più di tanto, rispetto ai giovani di oggi. Appena uscito dall’Accademia, ho subito inziato a lavorare, fortunamente ho avuto subito delle belle occasioni, anche dei bei riconoscimenti. Appena quattro anni dopo il diploma all’Accademia, ho avuto il premio come miglior attore giovane protagonista della “Bottega del caffè” che avevo fatto con Peppino Patroni Griffi. Insomma mi è andata bene, ma erano altri tempi, e devo dire che andò bene anche ad altri colleghi dell’epoca. C’era molto lavoro, c’era il teatro e la televisione che nasceva, la radio, il cinema offriva molto spazio. Oggi è molto più difficile, in tutti i settori. Non c’è per esempio, come punto di riferimento teatrale, una “Compagnia dei Giovani”, che ha sfornato tanti nomi importanti. E lo ha fatto insieme ai teatri Stabili di allora. C’erano tante di quelle “ditte” che erano delle vere e proprie scuole, come la compagnia Stoppa-Morelli, la Albertazzi-Proclemer, la Ricci-Magni ecc. Oggi ci sono problemi di quotidianità, soprattutto di mettere insieme il pranzo con la cena».
Quali compagni di scena ricorda con affetto?
«Ne ricordo tanti. Guardi io ho fatto più di trecento commedie, e ho conosciuto tanti colleghi meritevoli di affetto e stima. Oggi alla mia veneranda età, mi volto indietro e mi accorgo di aver conosciuto tutto il mondo teatrale di allora. Ho avuto davvero una grande fortuna. Anche perchè ho avuto modo di imparare tanto. Sono partito da Napoli, la mia città, insieme a nomi come Bruno Cirino, Stefano Satta Flores, e con il concittadino Patroni Griffi, che come regista ha messo in scena l’unica trilogia Pirandelliana, partecipandovi come protagonista. Facemmo una trilogia da capogiro con opere come “Sei personaggi..”. “Questa sera si recita a soggetto” e “Ciascuno a suo modo” che era la famosa trilogia del “teatro nel teatro”. In queste occasioni ho avuto l’onore di stare vicino a Vittorio Caprioli che mi ha insegnato tantissimo. Solo il cinema non ho cercato molto e lui non mi cercato abbastanza.Ho sempre avuto molti impegni teatrali, pertanto, se devi fare cinema, devi dedicare troppo tempo ai set. Qualcosa è stato fatto, anche belle pellicole, ma nel doppiaggio ho avuto delle belle sodisfazioni prestando la voce ad attori internazionali come Harvey Keithel, per un film della Wertmuller, “Intrigo di donne vicoli e delitti” o quella di Ben Gazzara, per il film “Il Camorrista”».
Prossimi impegni teatrali e non?
«Purtroppo la “Brocca rotta” non avrà seguito, ma prossimamente avrò “Il Mercante di Venezia” al teatro romano di Verona, che vuole fare un omaggio alla memoria al grande Giorgio Albertazzi. Siccome Giorgio, l’ultima cosa che ha fatto, prima di lasciarci, è proprio “Il Mercante..” e allora il teatro di Verona, lo vuole mettere in scena, riproponendolo con la stessa compagnia e lo stesso regista, ma con me protagonista. Giorgio mi stimava molto e siamo diventati molto amici. Poi c’è dell’altro, ma per ora non posso ancora pronuciarmi, posso solo dire che la scuola, mi prenderà anima e cuore».
di Gianni Mattioli