NAPOLI – Il pianista Manuel Zito, 30 anni, ci racconta del suo disco “Fernweh” pubblicato dall’etichetta discografica Memory Recordings l’anno scorso. L’album è stato registrato in Islanda nel prestigioso “Sundlaugin Studio” di Mosfellsbær. Nei brani le note del pianoforte tradizionale si ornano di sfumature date da un’elettronica minimale intrecciatie a suoni dall’animo nordeuropeo.
Manuel ha iniziato a suonare e studiare il pianoforte a cinque anni, si è diplomato al Conservatorio “S.Pietro a Majella” di Napoli nel 2012 ed ha suonato con gruppi di vario genere in giro per l’Italia. La sua passione risiede nella composizione e nella musica per audiovisivi. Abbiamo intrattenuto una piacevole conversazione sul suo recente lavoro. Manuel si esibirà domenica 7 aprile nel programma di Piano City Napoli. Sarà l’occasione per presentare brani del suo album ed altri più recenti.
Qual è il significato del titolo dell’album?
Fernweh è una parola tedesca che mi suggerì un caro amico che ascoltò il mio pezzo in pre-produzione. Me lo consigliò per il pezzo omonimo. E’ l’unico pezzo per cui ho avvertito un’effettiva difficoltà nella scelta del titolo perché è nato quasi di getto. C’è stata una strana magia ed in effetti è il pezzo che piace di più al pubblico, forse per la sua spontaneità. Vuol dire “Nostalgia di luoghi in cui non si è stati” ed io lo associo al potere della musica, soprattutto questa strumentale. E’ una parola che ha significato solo nella lingua tedesca.
Come definiresti il genere musicale da te suonato?
Devo ammettere che non mi piace tantissimo l’idea di essere etichettato in un genere piuttosto che in un altro. Però effettivamente si ha una definizione che è di “modern classic”, cui poi sono collegati anche altri miei amici pianisti che sono Bruno Bavota e Fabrizio Paterlini.
Ci parli della tua esperienza di registrazione in Islanda?
E’ stata un’esperienza di vita perché ho lavorato in uno studio fantastico con il fonico dei Sigur Ross. Il fonico è di altissimo livello, infatti lo cito, il suo soprannome è Biggi ed il vero nome Birgir Jón Birgisson. Ha lavorato con Damien Rice, Yann Tiersen e Bjork. In Islanda ci sono stato due volte, la prima volta per registrare nel 2017 ed in quell’occasione rimasi due settimane. Il disco lo registrammo in cinque giorni, il resto dei giorni assaporai quell’atmosfera come fosse una vacanza. Ci mettemmo pochi giorni perché fu una composizione di parti. Il quartetto d’archi aveva già le parti da tempo, erano bravissimi e le parti elettroniche le abbiamo portate da qui. La seconda volta ci sono tornato per una tourneè di sei concerti.
Ascoltando i brani dell’album in sequenza si ha la sensazione che, seppure seguano la stessa linea, siano in ogni caso ognuno a sé.
Allora posso dirti che effettivamente la tua sensazione è giusta. I brani sono stati composti in momenti temporali diversi tra il 2011 e il 2016. Ad esempio “Miroire de la Memoire” l’ho scritta nel 2011 e “Yoyo” nel 2014 mentre i pezzi con gli archi sono i più recenti.
E’ stata tua la scelta di introdurre gli archi?
Ho ascoltato questo compositore islandese che si chiama Olafur Arnalds. Il suo è un approccio molto diverso rispetto al mio. Io sono diplomato in pianoforte, studiavo composizione in conservatorio e continuo a studiarla privatamente per cui il mio approccio è abbastanza classico. Il suo è più “semplice” del mio. E’ nato batterista e suona il piano. Però la cosa che mi sconvolge e che ho apprezzato molto è che, nella sua semplicità, quando c’è la sua musica si ferma tutto. Mi ha ispirato il suo intrecciare il pianoforte con archi e musica digitale ed ho voluto sperimentare anche io.
Che storia c’è dietro la scelta della copertina dell’album?
La copertina è un quadro che ha fatto un mio amico Emanuele Riccio, artista che sta per conseguire la laurea all’Accademia di Belle Arti a Napoli. Il dipinto esisteva da anni, a me colpì subito al punto che lo volevo comprare ma è sempre stato molto conteso. Pensa che quando iniziai il progetto dell’album l’idea che avevo più chiara era proprio la copertina. Questo quadrò lui lo realizzò per un esame. Quando lo vidi all’inizio, in un primo momento non avevo notato quella bellissima medusa nell’oscurità, mi ero soffermato sull’uomo in meditazione. Solo una volta che ho focalizzato la medusa ho compreso che fosse in acqua. Io associo quell’immagine alla nostalgia dell’uomo verso l’acqua. La stessa voglia di vicinanza al mare non si può colmare mai del tutto perché non puoi vivere nel mare. Proprio questo è il Fernweh.
In quale brano l’Islanda ha lasciato la sua impronta?
Il brano che è intitolato “Alafoss” in realtà in origine si chiamava “Waterfalls”, cascate. Alafoss è la cascata che si trova vicino allo studio di registrazione in Islanda e noi ci fermavamo spesso nei pressi per l’atmosfera magica che era lì. Con me in quel viaggio era presente anche il mio amico cantautore e polistrumentista Massimo De Vita, il cui nome d’arte è Blindur. E’ importante in certi momenti di vita il sostegno degli amici.
Hai detto che i brani sono stati composti in momenti diversi e sicuramente sei legato a tutti per un motivo o un altro. Quale brano fa riferimento a un particolare momento di vita?
“Yoyo” il cui titolo non ha nulla a che vedere con il gioco dello yoyò ma è il nome della protagonista di un libro che lessi anni fa. Questa giovane ragazza aveva un carattere sprezzante ma allo stesso tempo nascondeva delle affascinanti fragilità. Quel brano racchiude quel modo di essere che poi per certi versi mi appartiene. Nello stesso periodo ascoltavo molto Sakamoto quindi effettivamente questi spunti si sono congiunti nell’ispirazione che poi ha dato come frutto questo pezzo a cui tengo molto.
Parliamo un po delle tue recenti esibizioni. Sempre più spesso ti sta capitando di portare la tua musica in città europee.
Io ho aderito all’organizzazione americana “Sofar”. In pratica gli interessati ad assistere a questi concerti possono iscriversi sul portale per poi essere avvertiti dei dettagli degli eventi. Si potrebbero definire concerti al buio. Il pubblico non sa cosa aspettarsi fino a che non giunge nel luogo. Esiste anche a Napoli “Sofar Sounds Napoli”. Quest’organizzazione si è diffusa in tutto il mondo. Come artista invece ho fatto l’application mesi fa. Mi chiamano e non sempre è fattibile perchè spesso sono luoghi distanti e c’è da organizzarsi per il viaggio. A giugno mi esibirò a Leicester poi avvengono nella vita anche piacevoli coincidenze. Il mese prossimo andrò in vacanza in America, viaggio organizzato da tempo, e coincidenza vuole che mi abbiamo chiamato per partecipare nello stesso periodo, il 24 aprile, ad uno di questi eventi che si terrà a Philadelphia che è a due ore da New York. Credo molto nelle coincidenze, il prossimo album probabilmente si chiamerà “Coincidences”.
Su Youtube è presente un bellissimo video per il brano “la deriva”. E’ stata una tua idea?
Questo video l’ha girato una ragazza delle Marche, una regista che si sta diplomando al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma, si chiama Giulia Di Battista. C’è stato un periodo in cui io ho frequentato il Centro per un laboratorio di tre settimane di “Musica per Film”. Organizzarono degli incontri con i registi. Noi ci dovevamo definire con una frase, i registi in base a quella frase ci inviavano dei link di video via e-mail senza incontrarci. Durante una festa organizzata nel Centro Sperimentale lei mi si avvicina e nel parlare indovina quale frase avessi scritto io. Fu l’inizio di una bella amicizia. Già era in programma l’idea del mio album e quando poi tempo dopo l’etichetta mi disse che si sarebbe fatto un video io ho subito pensato a lei. Lei fu entusiasta e nel breve tempo pensò alla storia e girò il video a San Benedetto del Tronto. Sono onorato della sua collaborazione.
Hai iniziato a studiare molto giovane all’età di 5 anni. Chi è che ha intravisto la propensione alla musica?
La musica è molto presente nella mia famiglia. Ci sono mia zia, la sorella di mia mamma, che è diplomata in pianoforte e mio cugino più piccolo che studia pianoforte al Conservatorio. La musica è sempre stata presente nella mia vita.
Quando è che hai capito che lo spettacolo sarebbe stato presente nella tua vita?
Posso dirti che la mia esperienza nei concerti si può dividere in due periodi. All’inizio io suonavo con un gruppo di musica leggera, ci chiamavamo “Piccola orchestra per prestazioni occasionali”. Abbiamo suonato in diversi eventi e città. In quel periodo non era lontana l’idea che nella mia vita ci sarebbero stati molti live. Poi c’è stato un momento di crisi e mi allontanai dal gruppo. Ha avuto quindi inizio qualche tempo dopo il secondo periodo della mia esperienza che è quello in cui ho deciso di mettermi in gioco cercando di presentare me stesso con questo album. Accadde che mi contattarono per un festival di pianisti della provincia di Caserta ed io pensai che i pezzi dell’album non erano stati pensati per essere suonati dal vivo. Mi organizzai con due archi, un violino e un violoncello, due amici che conosco per motivi diversi. Suonando insieme, ci rendemmo conto della complicità e della forma particolare di calore che acquistava la musica. In quel momento ho iniziato a prendere consapevolezza del lavoro svolto nel disco e ho preso pian piano confidenza con l’idea che suonare dal vivo la mia musica avrebbe fatto parte della mia vita. Non mi aveva mai sfiorato l’idea di diventare un pianista classico, perché a parte la concentrazione c’era un mio limite caratteriale nel volerlo fare. Ancora oggi mi sto convincendo sull’idea dello spettacolo dal vivo.
Cosa diresti ad un ragazzo che sta studiando?
In questo momento storico è difficile dare consigli. La cosa più importante è la passione che è il motore di tutto. Con la passione si possono superare anche i momenti difficili cui inevitabilmente ti si presentano in questo mondo. Io credo sia anche un problema culturale, non solo la musica ma l’arte in generale dovrebbe avere un ruolo più presente nella formazione. Ulteriore consiglio è quello di non escludere l’idea per il mondo dell’arte di andare all’estero. Sono esperienze da fare.
Abbiamo notato nella presentazione del tuo album che ne esiste anche una versione vinile. E’ stata una tua idea?
Mi è stata proposta dall’etichetta ma ne sono stato davvero entusiasta. Il vinile in formato trasparente è davvero particolare. Si è registrato nell’ultimo periodo un grande ritorno al vinile di una nicchia di persone che ne fanno collezione.
Rispetto agli eventi organizzati in città dedicati alla musica classica, quale idea hai? Cosa ne pensi del programma di quest’anno di Piano City Napoli?
Io parteciperò all’edizione di quest’anno, suonerò domenica 7 aprile alle ore 18:00 a Palazzo Pio Monte della Misericordia di via dei tribunali. E’ un evento meraviglioso sia per i napoletani che per i turisti. Io credo che quest’anno la proposta sia ancora più ampia, forse per una considerazione personale, il programma è un po’ dispersivo perché sono davvero molti eventi ma in ogni caso molto valido. Il bello è che i concerti principali sono per la maggior parte classici ma c’è anche molto jazz. Apprezzo molto la decisione dell’organizzazione di dare molto spazio agli artisti emergenti come me che presentano la loro musica.