Intervista al più grande mentalista italiano Francesco Tesei

Ho avuto il piacere di intrattenere una piacevole chiacchierata con l’artista Francesco Tesei, definito negli ultimi anni e dopo innumerevoli successi “il più grande mentalista italiano”.

Francesco Tesei inizia il suo percorso a 21 anni come illusionista e intrattenitore sulle navi da crociera portando in giro per il mondo le sue illusioni per quasi quindici anni. La sua personale curiosità lo porta ad approfondire, in un secondo tempo, ancor più l’universo della mente studiando la psicologia ericksoniana a Torino. Esperienza che dopo tanto studio, a distanza di qualche anno, lo porta alla creazione del suo primo spettacolo “Mind Juggler” con cui presenta per la prima volta agli spettatori l’arte del mentalismo. Lo spettacolo si rivela da subito un grande successo. Successo incrementato con il secondo spettacolo “The Game” che ruotava attorno al tema della fortuna e al ruolo che possiamo avere nel suo controllo.

Sarai al Teatro Diana il prossimo martedì per la seconda tappa del tuo nuovo tour che sta presentando il tuo terzo spettacolo “Human”. Cosa può aspettarsi il pubblico?

Il pubblico può aspettarsi uno spettacolo teatrale interattivo. Io mi rivolgo direttamente agli spettatori presenti in platea, li faccio diventare i veri protagonisti dello spettacolo e invito affianco a me una serie di persone dall’inizio alla fine in modo casuale. E’ una cosa che ho sempre fatto e che è sicuramente molto differente rispetto al mentalismo visto in televisione nel programma che feci per Sky. Posso comprendere lo scetticismo del pubblico seduto sul divano di casa propria che incredulo non accetta la riuscita di un esperimento, soprattutto se eclatante. Fortunatamente questo dubbio credo che evapori quando viene a vedermi dal vivo. E’ palese che le persone in platea siano scelte in modo casuale attraverso il lancio di un pupazzo. In poche parole sono gli spettatori che si scelgono tra di loro. Il mentalismo non l’ho inventato io, è vecchio di mille anni, ma mi rendo conto che una persona che lo vede per la prima volta, e magari anche in tv, possa avere questo dubbio. Il mentalismo nasce per essere fatto dal vivo, io ho dovuto cercare una maniera per tradurlo per la televisione. Durante lo spettacolo chiunque può essere invitato a giocare con me. Non ci sono vincitori né vinti, non è una gara, è un gioco che si costruisce insieme, senza la volontà da parte mia di imbarazzare o umiliare o assolutamente veicolare un messaggio tipo “Io riesco a fare cose che voi poveri mortali non riuscirete mai a fare”, assolutamente no. C’è sempre un sottotesto motivazionale nelle cose che faccio.

C’è una citazione di Erickson che ricorre molto nelle tue presentazioni: “Ognuno di noi è molto più di ciò che pensa di essere e sa molto più di ciò che pensa di sapere”, è da considerarsi una riflessione sulla possibile elasticità della mente? E’ questo il fulcro del mentalismo?

Direi di si ed è per questo che l’ho fatta un po’ mia quella citazione. In qualunque momento possiamo tirare il meglio da dentro di noi. Contemporaneamente se non si sono ancora espresse tutte le nostre potenzialità, allora c’è da chiedersi quale sia il motivo. La nostra mente è molto brava ad ingannarci, può creare delle illusioni che fungono come benzina e ci spingono a tirare fuori il meglio oppure sono convinzioni che possono limitare e tarpare le ali imprigionando. Io trovo affascinante quasi coerente o ironico  che a raccontare le trappole della mente sia una persona che ha fatto per tanti anni l’illusionista e che di conseguenza sa bene come funzionano le illusioni. La concezione per cui il gioco di prestigio funziona perché la mano è più veloce dell’occhio in realtà è un mito. Un gioco di magia funziona se il prestigiatore ha studiato e ha capito i meccanismi di percezione della mente. Spesso questi meccanismi possono essere distorti attraverso il linguaggio, le parole.

Sicuramente grande merito nella riuscita delle illusioni sta nella tua regia che rende co-protagonisti sul palco insieme a te musica e grafica.

Si sono entrambe mie passioni. Ho un passato da musicista come batterista, passione che ho dovuto in qualche modo abbandonare per mancanza di tempo, ora sono anche papà di un bimbo piccolo. Diciamo che il mio background di musicista mi aiuta molto per la scelta delle musiche dei miei spettacoli, come il passato da grafico mi aiuta per tutta la parte visiva dello spettacolo. Assistere ad esperimenti di mentalismo che semplicemente si susseguono potrebbe risultare noioso per il pubblico. Sul palco io sono contemporaneamente il mentalista, il regista dello spettacolo, che deve tenere un certo ritmo, e l’autore dei testi che crea contenuto. Forse all’inizio della mia carriera da mentalista mi piaceva limitarmi ad esperimenti che dimostrassero il mentalismo ma già dal secondo spettacolo ho voluto costruire un dispiegarsi attorno a un tema.

Cosa puoi anticiparci rispetto al tema affrontato in “Human”?

Nello spettacolo “Human” il tema è l’esplorazione di certi aspetti che ci rendono umani e che forse si stanno perdendo anche alla luce della comunicazione viziata dai social. Sono stato ispirato da una frase di un mio spettatore che al termine dello spettacolo ha esclamato “Guarda, tu non sei umano!”.  Io ci ho riflettuto ed in realtà ho capito che era esattamente il contrario, quello che fa un mentalista, cioè leggere tra le righe dell’essere umano, è proprio ciò che ci rende umani. Avere la sensibilità per cogliere quello che non viene detto. Queste sfumature si possono cogliere stando faccia a faccia ed è per questo che invito ad una riflessione sul mondo dei social. L’illusione è quella di comunicare con molte persone, poterle raggiungere anche se lontane, ma uno dei rischi è proprio la comunicazione snaturata senza toni, intenzione e stato d’animo.

Sei stato definito “Il più grande mentalista italiano”. Sei stato ospite di trasmissioni televisive, autore e protagonista di una trasmissione su Sky, hai tenuto conferenze e scritto testi sul potere della mente. Il tuo grande studio ti ha portato ad essere un punto di riferimento. Ma la curiosità adesso è spontanea: Quando è nato questo interesse? Volevi diventare un supereroe? C’è stato un momento nella tua memoria che è stato il primo brivido di un esperimento riuscito e quindi un’intuizione verificata?

Il supereroe lo volevo diventare quando facevo l’illusionista (sorridendo). Quando ero bambino e vedevo Silvan in tv era uno sprono per me immaginare di saper fare quelle cose. Recuperando una battuta del mio amico Raul Cremona ti dico “Un mago è un bambino al quale hanno regalato una scatola di magia quando aveva 8 anni e che trenta anni dopo ci sta ancora giocando”. Io sono stato quel bambino al quale, i genitori, hanno regalato la scatola magica di Silvan e ci ho giocato per tanti anni con quella scatola e metaforicamente ci gioco ancora con le mie illusioni. Non esiste, lo devo ancora incontrare, un illusionista che afferma “Io fino a 45 anni facevo l’avvocato, poi mi sono stufato e a 46 anni ho deciso di fare il mago”. La cosa bellissima è che sono tutti rimasti innamorati della magia quando erano bambini e non l’hanno mai abbandonata.

Ho visto alcune video-interviste girate al tuo pubblico all’uscita dallo spettacolo. Tra i tanti meravigliati e sbalorditi c’è stato un uomo che con una sincerità schiacciante ha detto “E’ stato affascinante scoprire quanto siamo prevedibili!”. E’ davvero così?

Sicuramente in risposta, per chi volesse approfondire, consiglio un libro che si intitola “Prevedibilmente irrazionali” scritto da Dan Ariely che risponde ampliamente ed in modo esaustivo alla tua domanda. Lui è un ricercatore e propone certi esperimenti che sono anche molto divertenti. Morirei dalla voglia di proporteli ma il tempo non lo permette. In sintesi ti rispondo in modo affermativo, lo siamo. E’ chiaro che quello che il pubblico mi vede fare in scena non deve essere preso alla lettera perché quello che io faccio è comunque una rappresentazione teatrale. E’ una rappresentazione della realtà. Il pittore e poeta Paul Klee diceva che il compito dell’arte non è rappresentare cio’ che è gia visibile ma rendere visibile ciò che non lo è. Quello che faccio io è rendere visibile questi meccanismi di persuasione che esistono. Come Magritte dipinge una pipa e dice che non lo è. E’ un rappresentazione drogata, sotto steroidi, di certi meccanismi che esistono e che normalmente sono invisibili.

Ultima domanda, che è un po’ una domanda di rito del nostro magazine, la poniamo agli artisti quando abbiamo il piacere di intervistarli. Il tuo show è in teatro. La nostra domanda è quando hai capito di essere sposato al teatro?

Bella domanda, questa domanda mi fa venire in mente qualcosa che non ho mai detto a nessuno. Non l’ho pubblicata neanche nel mio libro. Mi fa ritornare a quando ero piccolo, anni 70’, avevo circa sei-sette anni. Mia madre in quel periodo era molto giovane, mi ha avuto che aveva 19 anni. Le piaceva fare braccialetti e mi portò con sé ad una piccola fiera dell’artigianato. Successe, e quando ci penso credo di averle fatto prendere un gran bello spavento, che dopo avermi perso d’occhio mi ritrovò al centro della piazza al centro di un cerchio di gente accalcata. Io ricordo ancora perfettamente quel momento. A me piaceva lo spettacolo e l’applauso delle persone, mio nonno mi portava spesso al circo. Io pensai che avrei potuto improvvisare un numero da clown con il mio cappello, che cadeva e si allontanava quando mi avvicinavo, il coraggio dei bambini. Non so spiegarti come, ma input che avevo ricevuto mi facevano pensare che io potevo stare al centro di quel cerchio. La mia non era una famiglia di artisti, mia madre insegnante e mio padre impiegato ma iniziava a farsi strada dentro di me l’idea che mi piaceva fare spettacolo. Io ho sempre paura che questa predisposizione venga equivocata se si collega a quello che faccio e cioè il mentalismo. L’errore più comune è quello di associare il “leggere il pensiero”, volgarmente definito, ad un dono. La mia predisposizione è puramente per lo spettacolo. Quando ho studiato l’ipnosi alla Milton Erickson Institute di Torino nessuno sapeva che ero un imbucato. Io volevo approfondire quei temi per il mio spettacolo. Volevo continuare a fare quello che già stavo facendo come illusionista sulle navi da crociera. Gli illusionisti mi odieranno per quello che sto per dire, ma io credo che l’illusionismo sia più vicino al circo che non al teatro. L’illusionista vive del momento sorpresa. Io ho sentito, ad un certo punto della mia vita, la voglia di nobilitare quello che stavo facendo. Va bene il momento sorpresa alla fine del “numero”, come viene chiamato tra maghi, con rullo di tamburo e piatto ma io volevo cercare qualcosa che avesse un testo e un sottotesto per il pubblico. Volevo che la gente si ponesse interrogativi che andassero oltre il classico “Come fa?”. Mi è capitato spesso che mi chiedessero se magari con l’ipnosi io fossi in grado di addormentare le persone e a me ogni volta viene da ridere e rispondo sempre “Io cerco di svegliarle le persone!”. Non voglio assolutamente diventare il guru della situazione, il mio è un richiamo a prendere responsabilità per la propria vita, per i propri pensieri.  Sono molto orgoglioso del successo degli spettacoli e dell’attenzione che si è data al mio studio in Italia. Il mio impegno sarà costante nell’offrire al pubblico sempre uno spettacolo interessante.