Tra le attività predilette dall’individuo globalizzato della nostra epoca spicca la necessità di ritagliarsi il giusto tempo per emettere il proprio vaniloquio quotidiano. Alla base di tale necessità sta una motivazione precisa, la massa nutre un’ignominiosa passione: dire la sua su ogni argomento, specie se non ne è all’altezza. Ciò accade inevitabilmente, perché l’epoca della “libertà” assoluta (la nostra), spesso sembra non poter coincidere con nient’altro se non che con quella della profanazione assoluta. Di tale vaniloquio offre una rappresentazione fedele – ovvero crudele e grottesca – “New Magic People Show”, spettacolo di Teatri Uniti tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Montesano, in scena fino al 9 dicembre presso il Teatro Civico 14 (Spazio X) di Caserta.
Il tramonto di ogni prospettiva d’altura, sia essa etica o estetica, è portato sulla scena da Andrea Renzi, Enrico Ianniello, Tony Laudadio e Luciano Saltarelli che nel corso dei 70 minuti della pièce indossano sì gli abiti (e le mediocrità) di personaggi differenti, ma che nell’insieme rappresentano un’unica e precisa tragedia: l’uomo resosi irrimediabilmente contemporaneo, pertanto consumatore, utente, cliente per il quale ogni decisione è tale solo se rientra entro i dettami dell’etichetta, del beneficio e del riconoscimento collettivo. L’uomo resosi maturo per l’insulsaggine assoluta, a tal punto in grado di sguazzare nel nichilismo più ridicolo, da pretendere di poter gioire in tale ridicolaggine a ragion veduta. “New Magic People Show” è la rappresentazione fedele di questo sguazzare. Abitanti di un condominio depravato, Renzi, Ianniello, Laudadio e Saltarelli – loro malgrado – sono i convincenti ambasciatori del delirio d’impotenza contemporaneo. C’è spazio per tutti nella manifestazione di questa sciagura indifferenziata in grado di varcare ogni limite d’ordine sociale e culturale. Analizziamo di seguito alcuni momenti di tale catastrofe.
Sulla scena compare una famiglia medio – borghese (ammesso che tale nomenclatura abbia ancora senso) in cui si manifesta l’incomunicabilità tra il padre (Laudadio) e i figli (Renzi e Ianniello). Il primo si sforza di portare avanti una famiglia con sacrificio e apprensione, mentre i secondi criticano le preoccupazioni del padre tacciandole di insensibilità. Di cosa è colpevole il capofamiglia? Di un fatto increscioso: si rifiuta di dimezzare la sua «amatissima razione di “paccheri di Gragnano” al ragù di pesce», in modo da risparmiare dei soldi con i quali comprare il «nuovo televisore al plasma umano di 180 metri» per la famiglia. Ecco allora che la moglie (Saltarelli), denuncia la colpa irrimediabile del marito: è incapace di comprendere che «le famiglie italiane normali comprano beni di svago». Tra questi, spicca anche il desiderio della figlia (Renzi) di acquistare un «vibratore vegano», ovvero «né carne né pesce», battuta acutissima nello smascheramento di quelle pratiche “virtuose” così in auge nella nostra epoca che spesso non sono altro che rivestimenti opportunamente commoventi per tragiche inconsistenze.
E’ poi il turno di Gegè (Saltarelli) e Lallo (Laudadio), due ricchi di mezz’età che soffrono per una consapevolezza assai disonorevole per il loro rango: anche ai poveri, oggi, è data la possibilità di essere qualcuno, poiché possono godere dei beni di consumo acquistabili da chiunque. Sovviene, allora, un dilemma: cosa possono fare Gegè e Lallo, esponenti di un mondo che rischia di essere sommerso da un poveretto qualunque, per riottenere la visibilità che spetterebbe loro di diritto? Fingersi morti e farsi seppellire potrebbe essere un buon modo per far parlare di sé. Ma forse l’idea, messa così, rischia di essere un po’ banale. Serve più mordente. Magari, farsi seppellire al modo degli antichi egiziani, insieme ai propri servi, potrebbe essere un modo più idoneo e funzionale allo scopo.
Ancora, la signora Torza (Laudadio) che tenta di consolare la figlia Morza (Ianniello), colpevole di essersi impegnata con un ragazzo un po’ intellettuale che a San Valentino non ha nessuna intenzione di regalarle qualcosa, perché trova la festa degli innamorati un mero escatomage consumistico privo di alcun valore effettivo. Come si può mai consolare il cuore di una giovane così umiliata? La risposta è in un gustosissimo scambio di battute tra Santanelli e Ianniello:
«Invece di piangere – domanda la signora Morza alla figlia – , perché non ti guardi un po’ attorno? Ci sta il figlio del notaio Fiero che ogni volta che ti vede caccia due occhi da fuori, almeno non è un pezzente di intellettuale».
«Mamma ma quello è chiatto come un porco, quando fa tre scalini gli cadono le gocce di sudore a terra.»
«Vabbè, però intanto ha la villa a Positano.»
«Si, ma deve rimanere al piano terra, però.»
Sulla scena compaiono anche due irrimediabili disoccupati (Laudadio e Saltarelli) che piuttosto di ricercare un lavoro dignitoso, s’impegnano in una ben più alta questione morale: organizzare una colletta per aiutare il presidente della propria squadra del cuore – il Napoli, ovviamente – nell’acquisto di quel terzino che manca da anni e che potrebbe essere in grado di ottenere l’atteso salto di qualità alla squadra. E chissà, magari un giorno riuscire a vincere addirittura la Champions League. E’ davvero una questione di primaria importanza, perché, specificano Laudadio e Saltarelli intonando un autentico coro da stadio: «‘a partita è ‘a primma cosa!»
La pièce si conclude con uno doloroso monologo del dottor G. (Renzi): l’inalterabile e resistente uomo di valore, appassionato di poesia e letteratura, che in seguito all’ennesimo scontro condominiale con l’avvocato Morfo (Ianniello), decide di smettere di essere un resistente e dunque di cedere, di adattarsi alla superficialità e allo squallore della bassezza dei suoi vicini. Ed è nel corso di questo monologo che è ripetuto più volte il nome rivelativo di Zarathustra, riferimento prezioso alla classica opera nietzschiana. Tale indicazione non è causale: nel prologo di “Così parlò Zarathustra”, infatti, Nietzsche ha descritto la natura di ciò che egli definiva l’ultimo uomo: l’uomo spregevole, piccolo, meschino. In poche parole, l’individuo che di li a poco sarebbe divenuto l’uomo attuale e normale. Quel particolare modo di concepire la vita umana che, diffondendosi in ogni dove, ha portato a compimento il drammatico monito di Zarathustra: «la terra sarà allora divenuta piccina, e su di essa saltellerà l’ultimo uomo che rimpicciolisce ogni cosa. La sua razza è tenace, come quella della pulce; l’ultimo uomo vive più a lungo di tutti.»
“New Magic People Show” è l’efficace rappresentazione della terra divenuta inevitabilmente piccola, poiché racconta la nostra epoca senza esagerazioni né iperboli. Renzi, Ianniello, Laudadio e Saltarelli, infatti, non rivelano un’umanità paradossale, né tanto meno stravagante o meramente verosimile. Al contrario, offrono uno spaccato autentico e verace della nostra epoca. Difficilmente capita di veder narrata tale sciagura in modo degno, in una rappresentazione che senz’altro strizza l’occhio a quanto di negativo si vuole svelare dell’attualità, ma che al contempo riesce a superarla per mezzo di una ironia talmente affilata da risultare glaciale, riuscendo in tal modo a giustificare il vaniloquio di cui sopra su un piano più alto di rappresentazione.
Il pubblico napoletano potrà vedere “New Magic People Show” al Teatro Sannazaro dal 14 al 16 dicembre. Il prossimo appuntamento presso Teatro Civico 14 (Spazio X) di Caserta – i cui interni ricordano non poco la preziosa essenzialità di un quadro di Mondrian – invece, è “Biancaneve e i tre settenani” scritto e diretto da Roberto Solofria, in scena dal 15 al 30 dicembre.